Le pubblicità ingannevole e comparativa non sono accettate nell’ordinamento italiano. Per far sì che la pubblicità sia a norma di legge deve essere palese, veritiera e corretta. Ovvero la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale e non deve indurre in errore.
Per pubblicità deve intendersi qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere il trasferimento dei beni mobili o immobili, la prestazione di opere e di
servizi oppure la costituzione o il trasferimento di diritti e obblighi su di essi. Questa definizione la troviamo all’art. 2 del d.lgs. 145/2007.
Ma perché è necessaria una disciplina che regoli la pubblicità?
Il complesso di informazioni sintetizzato nel messaggio pubblicitario è fondamentale per una trasparente e corretta allocazione delle risorse nel mercato.
Inoltre, è necessario che il messaggio pubblicitario segua delle regole che gli permettano di svolgere la funzione che gli è propria, garantendo anche il corretto dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali.
La pubblicità e la libertà di iniziativa economica
Partiamo da una domanda: la pubblicità è coperta dalla garanzia costituzionale della libertà di espressione di cui all’art. 21, cost.?
No, la pubblicità non è coperta dalla libertà di espressione prevista dall’art. 21, ma dalla garanzia costituzionale dell’art. 41, cost. sulla libertà di iniziativa economica ma essa deve rispettare i limiti ai relativi commi 2 e 3. Pertanto, la pubblicità non deve porsi in contrasto con l’utilità sociale e non deve essere svolta in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana..
Godono della libertà di espressione le opinioni o le informazioni che, pur essendo veicolate dalla pubblicità, non siano strettamente funzionali alla promozione di prodotti e servizi. Sono un esempio le campagne di opinione Benetton.
Pubblicità ingannevole
Una pubblicità si dice ingannevole se è tale da indurre o potere ad indurre in errore una persona, pregiudicandone il comportamento economico ovvero ledendo un concorrente.
E’ ingannevole quindi la pubblicità che, pur non essendo idonea a indurre i consumatori a prendere decisioni diverse da quelle che avrebbero altrimenti preso, per il sol fatto di poter influenzare il loro comportamento può danneggiare i concorrenti. Ovvero prescinde da un pregiudizio economico che viene definito illecito di pericolo.
La pubblicità è vietata e la sua realizzazione sanzionata dall’Agcm secondo le stesse modalità previste in generale per le pratiche commerciali scorrette.
Per determinare se la pubblicità è ingannevole si devono considerare tutti gli elementi oggettivi, in particolare:
- i fatti relativi al prodotto o al servizio (origine, caratteristiche, metodo di produzione, etc.)
- il prezzo e altre condizioni di offerta;
- il soggetto da cui la pubblicità proviene.
Pubblicità comparativa
La pubblicità comparativa è una pubblicità ideata per confrontare due concorrenti, ed è lecita solo quando:
- non è ingannevole;
- non ingenera confusione sul mercato;
- confronta in modo oggettivo caratteristiche essenziali e verificabili di beni o servizi omogenei;
- non causa discredito o denigrazione del concorrente;
- non procura all’autore di essa indebito vantaggio tratto dalla notorietà dei segni distintivi del concorrente.
In altri ordinamenti non è vista con tanto disvalore, infatti un esempio di battaglia pubblicitaria famosissima è Pepsi e Coca-cola oppure McDonald’s e Burger King. Nel nostro ordinamento è stata vista con diffidenza, perché ricadeva in quei casi di denigrazione del concorrente. Ma se si seguono certi criteri, la pubblicità comparativa consente corretta allocazione delle risorse ed è utile al consumatore.
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