Open Innovation e closed Innovation: due approcci all’innovazione
Quante volte abbiamo sentito parlare di Open Innovation e ci siamo chiesti cosa significasse. È sorprendente quanto sia immediato comprendere la distinzione tra Open Innovation e Closed Innovation. Questi due concetti rappresentano, infatti, approcci radicalmente diversi nel modo in cui le aziende gestiscono il processo di innovazione. La prima cosa da chiarire è che si tratta di due filosofie diametralmente opposte. Mentre la Closed Innovation è incentrata sulla ricerca e lo sviluppo interni all’azienda, l’Open Innovation abbraccia l’idea di collaborazione e condivisione delle risorse esterne. Questa differenza fondamentale è alla base della loro comprensione e implementazione.
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Closed Innovation model
La Closed Innovation, o innovazione chiusa, è un approccio al processo di innovazione aziendale che si concentra sull’uso e lo sviluppo delle risorse interne all’azienda per generare nuove idee, tecnologie e prodotti. In sostanza, implica che l’azienda mantenga il controllo e la proprietà di tutto il processo di innovazione, dalla ricerca e sviluppo fino alla commercializzazione, senza coinvolgere attivamente fonti esterne come partner, fornitori o università.
Il metodo rappresentativo principale di questo approccio è l’imbuto dell’innovazione. Si riferisce al processo attraverso il quale le idee vengono generate, valutate, sviluppate e infine commercializzate all’interno dell’azienda. Questo processo può essere suddiviso in diverse fasi, o “fasi dell’imbuto”, che rappresentano il percorso che un’idea innovativa segue all’interno dell’organizzazione. Durante la fase della generazione, le idee partorite sono numerose. Passando attraverso le diverse fasi dell’imbuto, il collo si stringe e, alla fine, verrà portata a compimento solo l’idea vincente.
Tuttavia, questo modello presenta alcune criticità. Infatti, molti progetti scartati potrebbero avere del potenziale, se sviluppati da altri (attraverso l’outbound) e vengono, perciò, definiti “false negative”. Al contrario, alcuni progetti portati avanti o sviluppati richiedono molto tempo per passare tutte le fasi del processo e, se falliscono, diventando dei “false positive”. Ma, a questo punto, avrò sprecato molto tempo e denaro per un’idea che non funziona.
Gli svantaggi della Closed Innovation
Dunque, i principali svantaggi di questo approccio sono:
- i maggiori sprechi (false negative),
- i rischi di valutazione dei progetti (a causa del limite umano e della conoscenza circoscritta all’interno dell’azienda),
- risorse scarse (la R&D interna ha risorse limitate e si finisce per favorire solo le grandi multinazionali, che possono permetterselo),
- si può contare solo sulle risorse interne,
- i tempi di sviluppo sono molto lunghi (metodo dell’imbuto),
- costi e rischi elevati (costa molto realizzare ciascuno dei numerosi processi necessari ed avere successo sul mercato).
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Open Innovation model
Fino a qualche anno fa, cercando su Google la definizione di Open Innovation non avremmo trovato nessun risultato chiaro del suo funzionamento. L’espansione tecnologica ha dato una forte spinta alle aziende in ottica Open. Infatti, si sono accorciati notevolmente i cicli tecnologici e di vita dei prodotti, costringendo il mercato a uscire sempre con qualcosa di nuovo. Così come la crescente presenza dei fondi di venture capital, senza i quali non esisterebbe la crescita rapida. L’innovazione ha bisogno, dunque, di un nuovo modello di business per essere supportata.
In questo contesto si sviluppa l’Open Innovation, un approccio all’innovazione che si basa sulla collaborazione e la condivisione delle idee e delle risorse con fonti esterne all’azienda, come partner, fornitori, università, startup e persino clienti. Questo concetto è stato introdotto da Henry Chesbrough nel suo libro del 2003 intitolato proprio “Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology”. L’autore riassume questo approccio come: “L’innovazione aperta è un paradigma che afferma che le imprese possono e debbono fare ricorso a idee esterne, così come a quelle interne, e accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati, se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche”.
Dunque, appare chiaro che l’innovazione non è più una proprietà interna, ma è necessario aprirsi all’esterno per progredire nel mercato. Secondo Chesbrough, le aziende possono decidere di acquisire tecnologie dall’esterno anziché svilupparle internamente, o possono scegliere di condividere le proprie conoscenze con fonti esterne per ottenere un ritorno economico o per accedere a nuovi mercati. Allo stesso modo, un progetto di ricerca può iniziare all’interno dell’azienda e poi essere sviluppato esternamente, oppure può nascere al di fuori dell’azienda e successivamente essere integrato in un modello di business tradizionale.
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I vantaggi dell’Open Innovation
I vantaggi di questo approccio sono molteplici:
- Tempi di commercializzazione più brevi, con minori costi e rischi (si passa da soli costi fissi a costi variabili; si riduce il time to market),
- innovazioni migliori/migliore qualità di prodotti e servizi (non sono limitato alle sole risorse interne, ma posso scegliere “il migliore”),
- sfruttare le opportunità offerte dai nuovi mercati,
- maggiore flessibilità,
- una maggiore capacità di assorbimento (si impara collaborando con soggetti esterni).
Il concetto chiave è la “contaminazione“: la mescolanza di idee, competenze e risorse tra diverse fonti. Questa contaminazione porta vantaggi sia per le imprese sia per il mercato, poiché favorisce l’innovazione e la creazione di valore attraverso la collaborazione e lo scambio di conoscenze.