Dolce & Gabbana, dopo essere stata accusata di razzismo a causa di una campagna promozionale fallimentare, ha subito l’esclusione dalle piattaforme e-commerce cinesi.
Continuano a piovere polemiche in merito alla vicenda che ha coinvolto la casa di moda italiana Dolce & Gabbana. La maison è stata accusata di promuovere contenuti razzisti e sessisti in una serie di video pubblicitari volti a stereotipare la Cina e i cinesi. Come reazione il brand è stato boicottato dalle principali piattaforme e-commerce del Paese asiatico.
Come non fare pubblicità: il caso Dolce & Gabbana
Lunedì scorso, il brand aveva lanciato una campagna pubblicitaria per promuovere una sfilata che avrebbe dovuto tenersi a Shanghai qualche giorno più tardi. Nei video si vede una modella cinese assaggiare tre prodotti gastronomici nostrani (spaghetti, pizza e cannolo) usando le bacchette. Seguono come contorno stereotipi tipici dell’Orientalismo denunciato da Said nel suo saggio fondamentale del 1978, che ai cinesi non sono piaciuti per niente. “Si vedranno sempre i paesi stranieri con quel senso di superiorità patogeno e innato che è tipico dei Paesi forti di una cultura catto-colonialista radicata in anni e anni di dominazione”.
Nel video con il cannolo, una voce fuori campo chiede alla modella se le dimensioni del dolce fossero troppo grandi per lei. Se già una domanda ironica e maliziosa come questa sarebbe in grado di far saltare dall’ira più di una testa in Italia, figuriamoci nel Paese più popoloso al mondo; inoltre il paese è pervaso da cultura e profusione di competenze, nozioni e ingegno che vantano radici che il mondo occidentale può soltanto mirare dallo spioncino.
Nel giro di 24 ore il video ha raggiunto ogni angolo del mondo virtuale, disperdendosi nei vari social network e viralizzandosi; a tal punto che Weibo, piattaforma simil-Twitter cinese, si è vista costretta a cancellare i video promozionali. A seguire, è apparso su Instagram uno screenshot che mostrava il profilo personale di Stefano Gabbana intento a insultare pesantemente il popolo cinese; in questo si levavano epiteti poco galanti come “cina ignorante mafia puzzolente” durante una discussione privata con Diet Prada.
La giustificazione della maìson è stata immediata ma controversa: colpa di un presunto hackeraggio dell’account di Gabbana. La scusa non ha attecchito e il popolo cinese si è mosso a protestare contro il brand.
Il boicottaggio delle piattaforme e-commerce
Tmall, JD.com, Suning, NetEase Kaola e Ymatou hanno escluso l’azienda appena dopo lo scoppio della notizia. Anche compagnie del lusso del calibro di Secoo, Vip.com e Yhd.com hanno preso le distanze, non meno del gruppo Yoox Net-a-porter.
Gli stereotipi nelle pubblicità non sono una novità
La presenza di stereotipi in pubblicità non ha mai mancato di farsi sentire, specialmente nei decenni scorsi. Pensiamo agli anni ’60, quando la condizione della donna era totalmente subordinata al potere maschile da accettare la situazione e limitare il proprio talento alle due mansioni classiche di una società machista: lavori domestici e allevamento dei figli.
Van Heusen, marchio di abbigliamento che produceva slogan sessisti o Chase & Sanborn, la cui pubblicità ritraeva una donna sul punto di essere aggredita dal marito per aver acquistato una marca di caffè scadente, sono alcuni tra gli esempi più rilevanti.
Il marketing degli errori può essere una strategia da adottare. Innumeri sono i casi di brand che, complice una svista o un refuso, riescono a sfruttare l’ilarità dell’errore ironizzando su quanto hanno commesso. Nel caso di Dolce & Gabbana, difficilmente ci aspetteremmo una strategia che riesca a riparare al danno d’immagine di cui ormai dovranno patire le conseguenze a lungo.