“Usiamo i dati per cambiare il comportamento dell’audience”. Non è solamente la frase di apertura del sito di Cambridge Analytica, società di analisi di dati britannica, accusata in questi giorni di aver rubato i profili Facebook di circa 50 milioni di utenti. Soprattutto, è la definizione di un’epoca, la nostra, dove i social media contribuiscono significativamente a determinare le scelte politiche degli elettori, tanto da rappresentare l’ago della bilancia per i risultati delle Presidenziali statunitensi e del referendum su Brexit nel RegnoUnito. Ma partiamo dall’inizio.
Cambridge Analytica: cos’è?
Fondata nel 2013 da Robert Mercer, imprenditore miliardario con idee conservatrici, Cambridge Analytica è una società specializzata nella raccolta di dati degli utenti attivi sui social network. Il numero dei “Mi piace” e i post coinvolti, il luogo da cui avvengono le condivisioni, il numero di commenti e i principali interessi del popolo del web. Tutto viene registrato, analizzato ed elaborato da modelli e algoritmi, al fine di produrre un preciso profilo psicometrico di ogni utente.
Cambridge Analytica: a cosa servono i dati raccolti
Negli ultimi anni, Cambridge Analytica ha acquistato informazioni dai cosiddetti “broker di dati”, società che raccolgono dati di ogni genere sulle abitudini e i consumi delle persone. Questi dati sono stati elaborati, poi, dagli algoritmi di Cambridge Analytica per creare pubblicità altamente personalizzate su ogni singola persona.
Addirittura, la società dice di riuscire a registrare non solo i gusti degli utenti, ma le emozioni. Bastano 70 “Mi Piace” su Facebook per comprendere l’intera personalità dell’utente interessato.
Quali sono i rapporti di Facebook con la Cambridge Analytica?
Nel 2015, un ricercatore dell’Università di Cambridge, Aleksandr Kogan, realizzò un’applicazione che si chiamava “thisisyourdigirallife”. Per utilizzarla, bisognava collegarsi col Facebook Login, sistema che ti permette di accedere ai siti con i dati del tuo profilo sul Social, ma che condivide anche col suddetto sito alcune informazioni personali (email, età, sesso ecc).
Furono in 270mila ad iscriversi all’app di Kogan con Facebook, accettando di condividere le proprie informazioni personali e, soprattutto, quelle della propria rete di amici.
Kogan riuscì, quindi, a costruire un archivio enorme: il New York Times parla di informazioni su circa 50 milioni di profili Facebook. Un numero incredibile, in grado di rappresentare una buona fetta della popolazione statunitense e britannica.
È illegale raccogliere dati?
La raccolta di dati non è di per sé illegale, ma lo diventa quando questi non sono autorizzati oppure quando vengono utilizzati per scopi illeciti.
Per di più, in quel periodo, la raccolta di informazioni sulla rete di amici era ancora consentita da Facebook…
I problemi, quindi, sono sorti in seguito, quando Kogan ha condiviso tutte queste informazioni proprio con la Cambridge Analytica, violando di fatto le condizioni d’uso di Facebook.
Peccato, però, che Facebook abbia deciso solamente adesso di bannare gli account della società, a distanza di due anni. Proprio nel momento in cui le due grandi testate giornalistiche (The Guardian e il New York Times) si stavano occupando del caso.
Cambridge Analytica: cosa c’entrano le elezioni politiche statunitensi?
Il comitato elettorale di Donald Trump nel 2016 affidò proprio a Cambridge Analytica la gestione della raccolta di informazioni per la campagna elettorale. Non sappiamo ancora bene quali sono i termini di questa collaborazione e i risultati prodotti. Ma sappiamo che c’è stata un’enorme fuga di dati, che sono stati utilizzati da aziende Russe (ne abbiamo parlato in questo articolo) per produrre contenuti e fake news pro-Trump e contro Hilary Clinton, tali da contribuire massivamente al risultato elettorale finale.
I social che cambiano il nostro modo di votare
Ancora non si è capito se sia stata Cambridge Analytica (che sta collaborando con le autorità inglese e si autoproclama non colpevole) o società terze che hanno in qualche modo ottenuto questi dati da essa. Ma è innegabile che la diffusione di dati e le conseguenti notizie sui social abbiano plasmato l’opinione pubblica degli utenti online. La stessa cosa è avvenuta anche in Inghilterra con la Brexit, e pare sia coinvolta sempre la stessa Cambridge Analytica.
Il ruolo di Facebook: lupo cattivo o agnello indifeso
In questo caso, Facebook probabilmente è in buona fede. Ma continuano a nascere problemi legati all’utilizzo dei dati personali. Utilizzo che il Social Network di Zuckerberg non sembra in grado di controllare.
Per salvare la situazione, è necessario che gli organi di competenza creino una regolamentazione più precisa per la tutela della nostra privacy online.
Quello che possiamo consigliarvi, a questo punto, è di prestare molta attenzione, quando si condividono informazioni personali con altri siti o applicazioni.