Il principio del diritto alla concorrenza è tutelato contro comportamenti contrari allo svolgimento corretto e ordinato della concorrenza sul mercato con le norme sulla concorrenza sleale. Queste norme le troviamo all’interno del Codice Civile dall’art. 2598 al 2601.
A livello europeo facciamo considerazione alla Convenzione dell’Unione di Parigi, c.d. CUP all’articolo 10-bis.
All’interno del CUP è presente una clausola generale in cui viene spiegato che gli atti di concorrenza sleale sono ogni atto contrario agli usi onesti in materia industriale o commerciale. In seguito, vengono enunciati alcuni atti tipici come gli atti confusori, affermazioni false screditanti e l’uso di indicazioni e asserzioni ingannevoli.
A livello internazionale se c’è un contrasto tra un imprenditore italiano e uno non italiano si applica la convenzione di Parigi, quando invece i contrasti riguardano imprenditori entrambi ubicati in Italia si applicano le norme del codice civile.
Chi può invocare queste norme
Non tutti possono avvalersi di queste norme. Gli unici soggetti che hanno interessi ad agire, quindi interesse a rivolgersi al giudice per far applicare queste norme devono avere dei presupposti oggettivi e soggettivi.
Servono dei presupposti soggettivi, ovvero la cosiddetta legittimazione ad agire. Si tratta di norme che possono essere azionate solamente da imprenditori che siano concorrenti fra di loro. Un simile rapporto sussiste quando due imprenditori offrono prodotti o servizi idonei a soddisfare gli stessi bisogni o bisogni simili in un determinato mercato.
La disciplina della concorrenza sleale non tutela i consumatori, se non in via indiretta.
I presupposti oggettivi in vece sono 2, ovvero per agire bisogna pure dimostrare ad avere un interesse, deve essersi verificata:
- una violazione dei principi di correttezza professionale, quindi di usi onesti.
- un danno concorrenziale, reale o anche solo potenziale al fine di prevenirlo
Ogni situazione va verificata caso per caso. Entrambi i tipi di presupposti devono sussistere congiuntamente.
Le 3 fattispecie della concorrenza sleale
Al comma 1 dell’articolo 2598 del Codice Civile troviamo la prima fattispecie, ovvero gli atti confusori:
- uso di nomi o segni distintivi, ovvero l’imitazione di altrui segni distintivi tipici, ma anche l’imitazione dei segni distintivi di altri non protetti e stabilmente usati. In quest’ultimo caso ci riferiamo al marchio di fatto.
- imitazione fedele di prodotti del concorrente
- altri atti comunque idonei a creare confusione con i prodotti e l’attività di un concorrente. Un esempio rientrante in questo comma più generale è la confusione sull’origine, ovvero quando nell’indicazione di provenienza del prodotto risulta un falso o distorto coinvolgimento di un altro imprenditore
Un’altra fattispecie sono gli atti di denigrazione e appropriazione di pregi, ovvero sono quegli elementi che falsano la valutazione dei consumatori. La denigrazione è un atto non consentito e si può trovare sotto forma di comparazione con la pubblicità comparativa oppure con l’utilizzo di superlativi relativi in caso di pubblicità iperbolica.
Rientrano nel caso di appropriazione di pregi gli atti di vanteria sotto forma di pubblicità parassitaria con foto dèpliant o falsa indicazione geografica o di origine. Oppure un’altro caso sono la pubblicità per riferimento dove ci si presenta equivalenti al concorrente, questo fenomeno è chiamato anche look-alike.
La terza fattispecie è indicata come “altri atti di concorrenza sleale“, è una clausola generale che rimanda a tutti atti non prima citati non conforme ai principi di correttezza professionale idoneo a danneggiare. Degli esempi di atti che sono rientrati in questa categoria in giurisprudenza abbiamo:
- atti che alterano le condizioni di mercato, come la pubblicità ingannevole e le vendite sottocosto, anche chiamate dumping.
- atti contro un determinato concorrente, ovvero stono di dipendenti, sottrazione segreti aziendali, concorrenza parassitaria, boicottaggio
Quest’ultima categoria a differenza delle altre due richiede una verifica in concreto, verificando caso per caso.
Sanzioni tipiche per la violazione delle norme sulla concorrenza sleale
Per invocare l’applicazione di queste regole, laddove l’imprenditore sente di aver subito un atto di concorrenza sleale, si rivolge al giudice ordinario.
L’autorità giudiziaria può attuare un’azione inibitoria, ovvero vietare in modo tassativo al soggetto di effettuare altri comportamenti di concorrenza sleale.
Può inoltre attuare “opportuni provvedimenti” per la rimozione degli effetti. Questa operazione dipende dall’illecito verificato, perché può essere decisa la distruzione dei beni incriminati o altro.
Il giudice può decidere la pubblicazione della sentenza, cosa che comporta poi dei problemi reputazionali per chi ha infranto le norme.
Infine, è possibile chiedere al giudice un’azione risarcitoria per avere il risarcimento del danno. Questa azione è ciò che differenzia l’autorità giudiziaria da quella amministrativa, perché quest’ultima non può operare per il risarcimento.
Se vuoi saperne di più sul diritto alla concorrenza
Il principio di libertà di concorrenza è tutelato da diverse norme, con questo articolo abbiamo visto le norme sulla concorrenza sleale. La settimana scorsa abbiamo analizzato la legge antitrust e la prossima settimana verrà preso in esame il codice del consumo, in particolare le norme sulle pratiche commerciali scorrette.
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